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Tribunali Emilia-Romagna > Dimissioni
Data: 06/02/2008
Giudice: Angelini Chesi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 14/08
Parti: F. C. / Università d Parma
TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA - ANNULLABILITA’ DELLE DIMISSIONI PER INCAPACITA’ NATURALE DEL DICHIARANTE - ILLEGITTIMITA’ DEL SUCCESSIVO LICENZIAMENTO


- Art. 428 c.c.

- Art. 18 legge n. 300/1970

Un lavoratore ha convento in giudizio il suo datore di lavoro per far dichiarare invalido e nullo il licenziamento intimatogli ed in subordine per far dichiarare l’annullamento dell’atto di dimissioni per vizio del consenso, ovvero violenza, ovvero incapacità naturale del dichiarante. In particolare il ricorrente – addetto alle casse in un Supermarket – esponeva di aver subito violenti rimproveri da parte del suo direttore per un errore involontario consistito nel non aver passato al lettore della cassa alcuni prodotti, di essere stato invitato aspramente da questo a firmare un atto di dimissioni con minaccia in caso contrario di essere denunciato all’autorità di polizia, e di aver sottoscritto l’atto di dimissioni su un modulo già predisposto dall’azienda in preda a grande agitazione, svenendo subito dopo; di aver rappresentato all’impresa, il giorno successivo, la ritenuta invalidità delle dimissioni perché rassegnate in un momento di incapacità, per la pressione psicologica esercitata dal datore di lavoro e per la fragilità emotiva patologica che lo affliggeva, e di essere stato licenziato per giusta causa.

Si costituiva la società, contestando in fatto ed in diritto la domanda avversaria, negando che la dinamica dei fatti fosse stata così drammatica e che il dipendente si fosse trovato in condizioni di incapacità e affermando comunque la legittimità del recesso.

Il Tribunale di Reggio Emilia, dopo aver espletato un’istruttoria orale che aveva confermato lo svolgimento dei fatti così come prospettati dal ricorrente, ritiene l’episodio idoneo ad alterare le condizioni in cui si era formata la volontà negoziale del dipendente, tenuto conto della sua particolare condizione psichica (invalido civile al 50%) ed in cura da anni presso il Centro di Salute Mentale della AUSL di Reggio Emilia, senza peraltro procedere ad accertamenti medico legali stante la sufficienza degli elementi raccolti in giudizio per dimostrare la grande vulnerabilità del soggetto alle condizioni di stress. Il Giudice considera dunque le dimissioni come rassegnate senza il necessario corredo volitivo, poiché, come è noto, è sufficiente “un turbamento psichico risalente al momento della conclusione del negozio tale da menomare gravemente, anche senza escluderle, le facoltà volitive ed intellettive, che devono risultare diminuite in modo da impedire o ostacolare una seria valutazione dell’atto o la formazione di una volontà” (Cass. n. 515/2004). Inoltre ravvisa anche la sussistenza delle altre condizioni richieste dall’art. 428 c.c., rappresentando la perdita del lavoro un gravissimo pregiudizio per un soggetto, di minorata validità fisica, che non risulta disporre di redditi diversi e la mala fede del datore di lavoro, pronto a cogliere l’occasione per liberarsi di un dipendente nei confronti del quale non nutriva più fiducia ed interesse.

Dopo aver ritenuto quindi l’annullabilità delle impugnate dimissioni, il Tribunale dichiara l’illegittimità del licenziamento intimato, stante la manifesta sproporzione tra la sanzione espulsiva e l’illecito disciplinare consistito in un errore colpevole ma involontario e l’esiguità del danno aziendale, contenuto in pochi euro




Tribunali Emilia-Romagna > Dimissioni
Data: 16/02/2011
Giudice: Ponterio
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 37/2011
Parti: Paolo P / Idraulica Sighinolfi Albano srl
DIMISSIONI DATE IN CONDIZIONI DI INCAPACITA’ DI INTENDERE E DI VOLERE –ANNULLABILITA’ – CONSEGUENZE: RIPRISTINO DEL RAPPORTO CON CONDANNA AL PAGAMENTO DELLE RETRIBUZIONI PERDUTE DALLA DATA DELLA SENTENZA


Art. 428 c.c.

        

Un dipendente, direttore di stabilimento da poco assunto,  accusato di aver avuto un comportamento offensivo nei confronti di un fornitore, veniva convocato nell’ufficio dei titolari ove gli veniva mostrata una lettera di contestazione di addebito. Verbalmente – secondo la versione del lavoratore – gli veniva comunicato che aveva una ventina di giorni per cercare un altro lavoro perché lo avrebbero comunque licenziato. Il lavoratore, convinto di aver agito nell’esclusivo interesse dell’azienda,  rimaneva sconvolto. Successivamente gli veniva offerto un modulo di dimissioni, che lui, a causa del suo stato d’animo alterato, sottoscriveva.

Con ricorso al Tribunale di Modena il lavoratore chiedeva di annullare le dimissioni in quanto rese in stato di incapacità di intendere e di volere, in ragione delle pressioni e minacce poste in essere da parte datoriale.

A seguito diapprofondita istruttoria, il Giudice ha appurato che il comportamento del lavoratore è stato posto in essere “senza fermarsi un attimo a riflettere, annebbiato dalla sensazione di aver subito una grave ingiustizia e intenzionato solo a fuggire per sempre da quel posto. Il P. è rimasto sempre in piedi, ha scritto la lettera di getto, ha raccolto in fretta e furia le sue cose personali e si è allontanato senza parlare con nessuno e senza salutare nessuno”.

Secondo il magistrato “il suo agire è stato assolutamente impulsivo, frutto di una condizione di sofferenza e di turbamento psichico che egli, in quel momento, non era in grado di gestire e controllare. Egli era incapace, in quella fase reattiva, di apprezzare l'importanza dell'atto di dimissioni e di liberamente determinarsi al suo compimento. Non è possibile intravedere nella condotta del ricorrente alcun barlume di una volontà cosciente e lucida, capace di guidare le sue azioni e renderlo consapevole del significato e delle implicazioni di quanto stava facendo.”

Tale convincimento è rafforzato da un certificato medico prodotto in atti  che conferma le valutazioni appena fatte quanto alla incapacità del lavoratore di autodeterminarsi all’atto delle dimissioni vissute, ex post, come causa di un “grave disturbo depressivo reattivo”.

Il Tribunale rinviene infine un ultimo indizio di particolare rilievo ai fini della prova dello stato di incapacità naturale -  e requisito stesso previsto dall’art. 428 c.c. -  nel grave pregiudizio che l’atto compiuto ha arrecato all’autore, assunto dalla convenuta pochi mesi prima come direttore di stabilimento: “Rassegnando le dimissioni il P. ha rinunciato, in un attimo, ad un lavoro stabile, a tempo indeterminato, ad un ruolo importante, quello di direttore di stabilimento, ad una retribuzione necessaria al sostentamento suo e della sua famiglia”, dovendosi successivamente accontentare di un lavoro precario e meno retribuito, dopo aver vissuto alcuni mesi con l’indennità di disoccupazione.

Il Tribunale di Modena ha accolto quindi il ricorso del lavoratore, in base ai seguenti principi, recepiti dalla giurisprudenza del Supremo Collegio: “Ai fini dell'annullabilità dell'atto di dimissioni del lavoratore subordinato per lo stato di incapacità prevista dall'art. 428 c.c., è necessaria la prova che, al momento in cui l'atto è compiuto, il dichiarante si trovi in uno stato di incapacità di intendere o di volere, per qualsiasi causa, anche transitoria; non occorre tuttavia la totale privazione delle facoltà intellettive o volitive, essendo sufficiente la menomazione di esse, tale comunque da impedire la formazione di una volontà cosciente ovvero una patologica alterazione mentale; è necessaria la prova che per l'atto il dichiarante subisca grave pregiudizio; non è necessario che risulti la malafede del destinatario”, (Cass. 7292/08).

Per le dimissioni, che costituiscono atto unilaterale recettizio, la relativa annullabilità per incapacità di intendere o di volere del dichiarante è disciplinata dall'art. 428 comma 1 cc. In base a tale disposizione, è necessaria la prova del pregiudizio per il dichiarante e non è necessaria la prova della malafede del destinatario, a differenza di quanto previsto per i contratti (cfr. Cass. da ultimo cit.; Cass., 1899/81).

Ed ancora, quanto ai contenuti e alle caratteristiche dell’incapacità di intendere e di volere: “al fine dell'invalidità del negozio per incapacità naturale non è necessaria la prova che il soggetto, nel momento del compimento dell'atto, versava in uno stato patologico tale da far venir meno, in modo totale e assoluto, le facoltà psichiche, essendo sufficiente accertare che tali facoltà erano perturbate al punto da impedire al soggetto una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio, e quindi il formarsi di una volontà cosciente” (Cass. 4539/02).

Analogamente Cass. 7344/97 ha affermato che “ai fini dell'invalidità di un negozio per incapacità naturale non è necessaria una malattia che annulli in modo totale ed assoluto le facoltà psichiche del soggetto essendo sufficiente un perturbamento psichico tale da menomare gravemente, pur senza escluderle, le capacità intellettive e volitive, anche se transitorio e non dipendente da una precisa forma patologica, impedendo o ostacolando una seria valutazione dei propri atti e la formazione di una cosciente volontà; tale accertamento deve essere compiuto dal giudice di merito con riferimento al momento della stipulazione del negozio e, pertanto, nel caso di incapacità dovuta a malattia non può prescindere da una valutazione delle possibilità di regresso della malattia manifestatasi anteriormente o posteriormente, per stabilirne la sua sussistenza nel momento indicato” (nello stesso senso Cass. 7485/03; Cass. 5159/04; Cass. 515/04; Cass. 6756/95; Cass. 7784/91).

Conclude il Giudice, esaminando il caso concreto: “Quanto alla prova della situazione di